In primavera abbiamo organizzato un ciclo di incontri online con i produttori di Presìdi Slow Food delle Terre Alte e delle aree interne di tutta la Penisola. Dalle valli alpine, lungo gli appennini fino agli altopiani calabrasi e ai monti siciliani abbiamo indagato problematiche comuni e iniziative per affrontare la complessità di fare agricoltura e allevamento in montagna.
Abbiamo incontrato anche alcuni produttori di Presidi Slow Food e vi riproponiamo i resoconti di queste serate.
Il percorso “Road to mountains” prosegue incontrando Carlo Mazzoleni per scoprire la storia del formaggio Storico Ribelle, emblema della resistenza casearia in Val Gerola. L’incontro parte da una riflessione del fondatore del Consorzio dello Storico Ribelle, Paolo Ciapparelli: “siamo diventati eversivi perché volevamo che le bestie mangiassero l’erba”. Con questa frase paradossale Carlo ci racconta come ancora oggi viene prodotto il formaggio con un sistema che si tramanda da secoli. Elemento fondamentale è il pascolo turnato razionato a stazioni attraverso le quali ogni “caricatore” porta i suoi animali da 1.400 fino sopra i 2.000 metri. Ogni sosta dura il giusto tempo affiche si esaurisca quello che quel pascolo ha da offrire. In questo modo vengono anche mantenuti i pascoli e si riafferma l’importanza che questo formaggio ha avuto dal punto di vista ambientale e per la definizione del paesaggio. Insieme agli animali, mucche e capre, si muove anche un piccolo caseificio itinerante, il calec, nel quale il latte appena munto viene lavorato a caldo. Un’usanza che nasce per ragioni di salubrità. Il latte ancora caldo non permette la proliferazione batterica. Da questi procedimenti derivano le caratteristiche dello Storico ribelle, un formaggio che non è mai standard, sempre diverso e con una straordinaria attitudine all’invecchiamento.
Verso la fine degli anni novanta il mondo del formaggio che era sempre stato fatto in questo modo, e che da sempre si chiamava Bitto, viene stravolto. Nasce la Dop del Bitto, si allarga l’area di produzione, si inseriscono per disciplinare fermenti e mangimi nelle fasi di produzione. Per questo Paolo Ciapparelli fonda il Consorzio del Bitto Storico prima, dello Storico ribelle quando non sarà più possibile utilizzare il nome di Bitto per chi lo produce ancora in modo autentico. L’uso dei mangimi è il punto fermo dell’opposizione dei ribelli perché l’alimentazione a erba è fondamentale per garantire la biodiversità sui pascoli ma anche per trasferire al formaggio i suoi sentori caratteristici.
I formaggi vengono conferiti al Consorzio che li stagiona nella casara di Gerola dove più di 2.000 forme restano ad invecchiare anche più di 10 anni. Questa caratteristica dello Storico ribelle è stata utilizzata anche per creare un sistema di autofinanziamento. Le forme più adatte ad invecchiare vengono acquistate e tenute nella casera a invecchiare e aperte per le grandi occasioni.
Così lo Storico ribelle diventa qualcos’altro, non più solo un formaggio, ma un vero e proprio movimento d’opinione. Grazie al Presidio Slow Food esce dai confini della valle e nazionali e la sua storia si conosce in tutto il mondo. I “caricatori” dello Storico ribelle hanno sfidato un sistema e continuano a sfidarlo.
Oggi sono 10 gli allevatori che caricano l’alpeggio. Metà di loro ha meno di quarant’anni, alcuni sono figli d’arte e portano avanti la tradizione di famiglia, altri invece sono giovani che si sono innamorati di questo lavoro. I giovani affrontano il mestiere del casaro con una nuova consapevolezza, con la capacità di accogliere i turisti, spesso anche stranieri, e di usare le tecnologie. Anche se il loro impegno di ritornanti avviene nella totale indifferenza delle istituzioni e senza alcun sostegno.
Lo Storico ribelle è rivoluzionario anche perché ha il coraggio di essere venduto a un prezzo molto superiore rispetto a molti altri formaggi e soprattutto rispetto al Bitto DOP. Un prezzo che nasce innanzitutto dalla giusta remunerazione dei casari ai quali Paolo chiese quanto volessero che il loro latte fosse pagato per mantenere il sistema tradizionale di pascolo. A partire quindi da una materia prima pagata quasi il doppio si è definito un prezzo di vendita importante. Nonostante il prezzo il prodotto viene sempre venduto da chi riesce a raccontare questa storia e farne capire l’importanza. Purtroppo ben poco localmente, come spesso accade. A parte qualche piccola eccezione la ristorazione della Valtellina non valorizza il prodotto.
Sono state molte le domande da parte dei partecipanti. Diego Lenzi, produttore di formaggio a Lavarone, ha posto molte domande tecniche sulla lavorazione del latte, sull’alimentazione e sulla mungitura. Gabriele, rappresentante dell’associazione Plastic Free ha invece posto una domanda sull’utilizzo della plastica. Carlo in risposta ha raccontato come l’utilizzo delle assi di legno nella casera è stato addirittura contestato da parte dell’asl locale che ha dovuto poi accettarne l’impiego una volta dimostrato il suo ruolo fondamentale nell’invecchiamento dello Storico ribelle.
Per il 2030 il Consorzio ha davanti una grande sfida. Per allora, infatti, scadrà il contratto di affitto trentennale della casera, di proprietà del Comune di Gerola. Negli anni i rapporti sono stati spesso tesi e Carlo spera che nei prossimi dieci anni queste tensioni possano essere ricucite e la resistenza dei casari dello Storico ribelle possa proseguire.
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